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L’imboscata

bancone

I tuoi occhi sono un’imboscata. Sono un ciuffo di briganti stesi nella macchia ad aspettare con lo schioppo spianato. Hanno preso il colore struggente dell’inverno, i tuoi occhi. Il marrone del bosco, il nero e la nebbia della statale. Smettila di guardarmi, non lo sopporto. Cosa mi devo raccontare poi? Che io, quegli occhi, li avevo tra le mani? Ricordo ancora il tuo passaggio, di profilo, sulla strada principale del paese. Era fine luglio. Ero al bar e bevevo una birra, come si usa fare, nel tardo pomeriggio del sud. I tuoi occhi avevano il colore dell’estate, allora. Avevano il colore del meriggio del sud. Passavi svelta e io ti seguivo. Vedevo ballare il tuo culo e le tue tette grandi, tette grandi come gli occhi. Allora mi piacevano grandi, le tette. Anche ora. Gli occhi, fino a quel momento, non rientravano nelle mie valutazioni. Almeno non in maniera così  importante come le tette. Mi innamorai. Io non ho occhi grandi come i tuoi ma anche i miei sono grandi. I tuoi sono troppo grandi invece e struggenti, struggenti come l’autunno che finisce. Occhi troppo grandi per stare nella tua faccia. Ma poi ci stanno, non so come ma ci stanno e cazzo, ti danno un fascino che neanche l’imbrunire a primavera. Io non li sopporto, i tuoi occhi, che prendono il colore delle stagioni e mi ricordano il tempo che passa, il tempo che abbiamo passato insieme. Hai tagliato i capelli. “Ma dai” – mi dici – “sei l’unico che se ne è accorto”. Sono ancora lì, al bancone del bar, di un altro bar, ad aspettare le stagioni che passano e tu sei passata e hai ancora gli occhi come le stagioni che devono venire. Solo che ora vengono, le stagioni, ed io non me ne accorgo. Le tue stagioni non sono più per me.

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